Tipologia di lavoro: legno, carta, lampade wood, materiali vari m 10 x cm70 e cm 600x40


La Stanza e la persistenza del desiderio, della memoria e degli affetti*

Un letto disfatto e un disordine consumato, un televisore con immagini senza sonoro e tracce di residui organici che stanno a indicare un luogo dove è passata della vita. L’environment di Sandro Marasco, occupato dalle sonorità contemporanee di Stefano Urkuma De Santis, implica tre distinte presenze: l’artista, lo spettatore e la sfuggente realtà degli oggetti in una camera piena di segnali dell’esistenza di un ipotetico abitante.
Le ossessioni sociali nascono da universi privati e il senso di solitudine è una dichiarazione della permanenza di un universo alienato e individuale; chi osserva dà significato a un racconto che si sviluppa sul diaframma permeabile tra privato e pubblico e si dipana attraverso la psicologia delle cose e delle frasi familiari che ricoprono le pareti. Sandro Marasco si è accostato al format espositivo ripensandolo totalmente e l’ha fatto diventare un micro edificio abitabile con un allestimento scenografico che racconta di problematiche personali, sessuali, socio-culturali, pensato e illuminato in maniera innaturale. Gli oggetti costituiscono un puzzle di enigmi collegabili tra loro: il letto in disordine, i fazzoletti di carta accennano a una pratica masturbatoria ed entrano in relazione con le testimonianze di amici e parenti, le lampade Wood enfatizzano il disagio e il senso di claustrofobia lasciando intravedere un’unica e incerta via di fuga. La Stanza ha un’anima che fa emergere la persistenza del desiderio, della memoria, degli affetti e si rivolge direttamente allo spettatore spingendolo a una pratica da voyer che confonde diversi ordini di esperienza e mette in discussione qualsiasi interpretazione semplicistica.
Nella produzione recente di Marasco si avverte la necessità urgente e quasi inevitabile di una dichiarazione, di uno slogan, di una presa di posizione pubblica e lo fa da un osservatorio marginale e periferico ma non per questo meno incisivo. Una tattica che riflette una lettura attenta della scena attuale e una pratica che introduce gli spettatori alla presa d’atto della realtà. Le operazioni performative di CONAR (Comitato Nazionale per la Raccomandazione), la torta piena di mosche presentata alla Biennale, le installazioni luminose in arabo dichiarano ciò che sappiamo e cosa siamo diventati: la pratica strutturale della raccomandazione, l’intreccio delle culture, il senso di morte e di disfacimento. Ciò che costituisce il nucleo di questi suoi interventi è dunque la dimensione processuale e concettuale che non soffre di complesse elaborazioni accademiche e si organizza in una pratica provocatoria libera da frustrazioni intellettuali o estetiche .

Marinilde Giannandrea

Dal catalogo della rassegna Senso plurimo*

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